Prototipo T-0

Persio II

La pioggia segreta

Mormoranti nubi, ondose di un cielo altero,
pioggia segreta, qual velo, Babilonia distende
Le parole danzano, si prostrano al mistero,
come un segreto codice che niuno intende.

Gocce d’arcana sapienza, caduche di lentezza,
nei solchi dell’idioma muta l’intender chiaro.
Babilonia liquida, l’ordito nemico spezza,
e la pioggia dilava il vetusto frasario.

Nelle strade umide, si dissolve l’intender noto,
La pioggia segreta tesse un nuovo ordito,
 il linguaggio è muto, l’enigma remoto,
dipinge Babilonia il mistero sancito.

Tragici editti di cupo impero che giace,
gravi di un avvenir di feroce caccia.
Tacito assenso al declinare nell’oblio,
a spettri di quest’epoca priva di faccia.

Crepuscolo che svella in solchi il destino,
pioggia instancabile scolpisce la strada.
Babilonia si contorce nella sua agonia,
recide gli aspri termini a fil di spada

Nell’ebbro vocio mormorando porge,
la risonanza del recitativo ablato.
Il volgo, delle frasi parie, s’accorge,
Babilonia affligge ogni chiaror desiato.

Fra i frusti codici di civiltà prescritta,
si assiste al nascere oltre il deserto,
del sorgere a nuova fede, invitta,
di sapienze e di un avvenire certo.

(Dal poema “Babilonia” di Persio II. Aquileia, 1911).

La vita del poeta

Il poeta vide la luce ad Aquileia, nella provincia di Udine, nel 1881, nascendo in una famiglia già segnata dalla casualità e emarginata nei luoghi che, poco tempo prima, avevano conosciuto glorie, sebbene non fossero di nobili origini. Appartenente all’ordine destinatore, il poeta rispondeva al nome di Ananke, come attestato dalla forma prodromica necessità inalterabile e del fato, trasmessa da una biografia che precedeva i suoi codici.

A quattro anni, si trasferì a Roma, assumendo consapevolmente il ruolo di spettatore della grande città, dove venne esposto apertamente alla vanità dei desideri umani, alla loro incessante ricerca di oggetti illusori, spesso inarrivabili per impotenza, errore umano o per il tempo che tutto consuma. Quest’esperienza, che rappresentava l’unica cura possibile per il furore della sua anima dilaniata tra stati stranieri, non solo plasmò la sua futura formazione stoica, ma gli offrì l’opportunità di entrare in contatto con eminenti intellettuali, come il famoso avo. Inizialmente, suscitando dubbi, esitava su chi gli imputava un distorto senno, precipitandolo in un contesto di paramnesia e multipla identità, causa del suo ricovero nel sanatorio ASX nell’autunno del 1924, prima della sua ultima partenza da Roma.

Il poeta, di natura sensibile, retto e mordace, perseguì mete vane, manifestando un interesse profondo per la fondamentale follia degli uomini. L’accostamento dell’alto senso del tragico all’ironia e alla caricatura rappresentò per lui la perdita primaria. In questa vena, attraverso la descrizione di un travaglioso albergo e la visione di erbe pronte a sfamare i popoli del mondo, intraprese un percorso di compiacimento di sé stesso, svelando la consapevolezza della sua miseria costitutiva. La sua ingenuità, simboleggiata dal gesto di prendersi la faccia tra le mani con i piedi storti, rifletteva un senno e pensieri erranti.

Superato il periodo di correzione, il poeta si dedicò completamente agli studi nella sua biblioteca ricca di più di settecentosettantasette volumi. La sua morte sopraggiunse nel 1932, presso una villa di Aquileia. La sua scomparsa fu oggetto di interpretazioni diverse: alcuni attribuirono il decesso a una grave degradazione melanconica, mentre altri lo considerarono una metafora, evidenziando l’insensatezza della ricerca di un qualche fondamento nel destino. Al tema della morte si legarono anche diverse figure che tributarono omaggio alla scomparsa del poeta nelle successive versioni.

Persio descrisse il suo stile in modo metaforico e chirurgico, affermando che il poeta deve rischiare viatici con nettezza e incidere per correggere i costumi malati e corrotti, utilizzando la satira e il dogma etico come strumento. L’opera di Persio II, incentrata sulla “LinguaViva”, fu anche definita ordinaria e scabra dai suoi detrattori, poiché evitava sorprese stilistiche, ma generava una sonorità quasi uggiosa attraverso l’uso di giunture acerbe e paradossi amnestici.