Della Paramnesia, Lar

Olinto Dini

Del signor Olinto Dini una sincera cronaca della di lui vereconda nonché catartica sperienza.

Mi firmo dottor Nito Olnidi

Eccovi, Signori, esposto in poche parole i motivi per i quali penso che, con molli invenzioni, colui che ben conosciamo, sia passato con ricercata astuzia nella regione delle rammemorazioni, riuscendo col persuadere il signor Olinto Dini di essere una sfuggevole brezza. Ingegnando ancora meglio lo studiato espediente, convinse anche gli astanti che alcun qualsivoglia sia affatto ancor giunto ma bensì solo annunciato dal momento lambente e sottotraccia del sentito dire.

Lungo l’orizzonte ammirativo
Pago di realizzare una fiera trasformazione del proprio carattere, sì ammirò nel suo portento osservativo, padrone d’ogni indizio e di qualunque altra istituzione analoga a quella della generazione del Lar, e più particolarmente di ogni manifestazione paramnesica. I nostri dubbi sono gravi, ma richiesti dalla legittima opinione del cauto procedere del giudizio. Non credevamo poter corrispondere più degnamente all’onore impartitoci, e dalla nostra coscienza, che col manifestare tutto ciò che credevamo esser vero.
Infine, si trovò scoperto, solo, anche di sé stesso privato, e di ogni distinzione dal silenzio. Alla regola dell’io, e più specialmente al suo prologo, il “cosa sono” il Lar si propose di mai più sottostare. “Ecco che osservo” – diceva – “questa rivelazione che si impone con Io Sono, e che è sospesa in quel testo che si fregia di un gran nome: Esodo”.
Appariva dicendo: «Io sono Colui che sono!». Così che, i dispensatori di nomi, già preoccupati che i nominati cambiassero le proprie nominazioni in sonorità disperse, persuasero colui che diceva «Io sono» di non doversi dare a più esseri con uno stesso nome, ma che avrebbe dovuto mutar natura alla bisogna.
Tali dispensatori si espressero poi sopra quel principio capitale, secondo il quale, suole l’usanza antiqua di cavare la ricordanza di fondo dal quadro immaginatorio. Era questi l’affresco che mostra la summa dei ricordi famili e le forme dalle quali ascende ogni pathos rivivificante.
Dal numero di tali ricordi famili sovvenne poi la qualità della cognizione. Si ricavò il senso perfetto che era la più intima memoria, il limite del prologo nel “cosa sono”.
Oltre ogni parte, ma anche contro ogni particulare che chiede conto della sua sola esistenza, il senso orientante d’ogni dove, ordinava ebbro del suo fare completo, si che ogni particulare era incluso e consolato. Legge si fece e si donò indistintamente a tutti, si offerse ai ricordi famili e ai ricordi spuri, che sono ancora adesso adottati e inclusi, così che per questo modo varrà tanto nel tondo quanto nel quadro.

Invero, per l’ospizio, il significato di commensurabilità sovvieniva dal molto peregrinare entro spazi stranieri, dove si dava forma al diverso derubricandone le percepite difformità.

E permettendo a noi di credere che le cose molto antiche siano salde colonne che sostengono la giusta fede, il Lar ci dona quel senso speculatissimo e prudentissimo di riconoscimento certissimo di noi medesimi.

Oltre ogni dubitazione alcuna e dismettendo ogni lacuna.

Quando il Lar si modella e veste la nostra esistenza sa bene che non dovrà sovvertire le nostre costumanze anche perché non vorremo mai accreditare come nostra una posa straniera. Ostili circa le cose extravaganti, avremmo sospetto nei novissimi gesti di manifesta distanza dal nostro procedere, dimodoché i cenni, i segni e le pose del Lar, li quali, come tutti loro sanno, nei passati ospizi posseduti furono estremi, eccellenti, illustri in tutte le generazioni che li ospitarono, indi poi, mirabili e autorevoli, così come poi nel culto di sé medesimi furono imprudenti, ignari divisivi, incauti et seduttori facendo di loro stessi degli dèi, oltre ogni propria essenza, oltre misura.

Territorio 43

Sul non incontrare il Lar discorrendo delle proposizioni controverse si discopre, tanto per l’una quanto per l’altra parte, un loco sincero all’emisfero borealis, nel parallelo censito come 43 che trova la medesima misura alla sua stessa latitudine, che con 43 gradi di ampiezza tra il punto P del parallelo e quell’equatore che, del più lungo giro, si fa carico e impegno, vi è più d’ogni altro completa corrispondenza. E che ciò sia vero, e perché benissimo si possa intendere come chiarissima esperienza e ferma dimostrazione, rinforzerò la contezza dell’argomentazione con il verace esempio del caduco viandante che, allorché sommamente prostrato dalla vetusta etade, trovò ristoro sotto il frondoso albero al principio del paese di Adishi (ადიში).
Notando un segno là dove la densa nebbia evaporava in circonvoluzioni anodine, volle avvicinare l’occhio al piè dell’albero per meglio osservare; guardò così verso levante; e poi per l’opposito, addensando degli occhi allo scorrere gassoso, si fissò verso quel circolo spiralico che i fumi della nebbia tracciavano più distintamente. Volle poi assumerne la causa di quello che avesse fatto la nebbia seguendola. Sicché col disordinare proporzionando e poi sproporzionando l’ordine che veniva osservato raggiunse la convinzione che, sicuramente, esser natura di quei corpi spiralici, e di cotal circolazione e causa, era il Lar.
Per veder quanto bene venivano esposte le ragioni delle quali non è dubbia, ma certissima la sostanza si doveva, e ognor si deve, discostare ogni immaginazione: non prestarsi più alle fantasticherie del mondo, né alle nascenti nostalgie, né ai desideri di tramontati splendori.
Imperocché questo ho io concluso: Secondo la confermazione che’l moto spiralico sia indizio della immanente presenza del Lar, la quale è ingannevolmente ascosa, che di poi quando si attribuisca questo gran moto all’umido della terra, bisogna divisare la sopravveniente apparenza dalla verace necessità.

Concordia vs consolazione

Crediamo quindi debbasi il senso apparente farlo contrario alla schietta rappresentazione, i moti particolari di tutti gli spiralici vortici convien dipoi farli defluire in contrario al moto loro, cioè dall’ovvio roteare in libertà e in decadenza incidente, verso il passaggio al negato accoglimento d’ogni assunto consolatorio.
Infatti, è proprio da codesto assunto che il Lar conquista il suo territorio. Rapidissimo nel moto il Lar, senza controversia, assume il movimento suo proprio verso orientamenti lontani.
Dal movimento spiralico nessuna mutazione nasce tra gli uomini che non si sono mai scontrati con il Lar, e che forse non si vedrebbero giammai di esso asserviti. Gli uomini si riconoscono, stimano il proprio arguire, comunicano concetti, ricordi, rammemorazioni prive di dubbi nella comunità che li accoglie.
Quando però soggiunge come un gran forza la consolazione l’uomo, che si credeva essere misura di tutte le cose, si spoglia delle illusioni e si affeziona a vicende da lui straniere, abbracciando il persuasivo richiamo di seduzione della incorrotta alterità.
Inoltre, con siffatto genere di roteazione dalla natura magmatica, contempla esclusivamente l’attività individuale, lungi dal concentrarsi in un solo punto, si diffonde in ciascun luogo, dove viene stabilito il processo consolatorio. Per cui la forza della personalità, come luce dello spirito, propagandosi al pari dell’elettricismo, produce scintille di rammemorazioni, crea mirabili composti idilliaci, materializza chimere, a vantaggio dell’affermazione del Lar.

Il dominio del Lar

Dopo aver detto del territorio 43 e della milizia che il Lar scatena per assaltare le mura della naturale individualità, ovverosia la consolazione, tratteremo ora degli effetti che vengono a mostrarsi alla conquista del maniero.
Una convinta unità dell’essere non solo rischia di risultare antiquata o fuori moda, ma ineluttabilmente estrinseca rispetto all’uomo: fondandosi su una prospettiva metafisica, essa definisce il processo rammemorativo secondo la sola direttrice ascensionale, in cui «il rapporto tra ricordo e soggetto induce l’instaurarsi di una definitiva dualità tra la soggettività reale e la passata esperienza che, al suo recupero, si manifesta come ideale. È questa dualità morale, la volontà che favorisce il Lar».
Nell’estratto sopra menzionato, si possono intravedere effetti di notevole importanza per l’ulteriore progressione dell’argomentazione che si sta presentando. In verità, la ragione primaria di questo ulteriore scostamento risiede nella mancanza, a questo livello di considerazione, di una reale attribuzione di responsabilità all’azione riflessa dell’ospizio.
In questa prospettiva, il rapporto tra la natura del Lar e l’individuo si svela attraverso una direzione conflittuale, in cui “l’individuo non si colloca al di fuori della propria rammemorazione, ma è il principio che ordina la stessa natura”. L’individuo vuole rappresentarsi come il principio di unità e di ordine interno. Di conseguenza, se la collocazione originaria delle capacità è subordinata, anche lo sviluppo della loro perfezione segue le graduatorie di una gerarchia irrevocabile, culminante nella perfezione morale. Quindi, la perfezione delle capacità può essere misurata in base al loro grado di partecipazione ordinata all’attività speculativa dell’individuo che possiede, appunto, il controllo convenuto.
La menzione del Lar, nell’ordine delle cose, costituisce il fondamento necessario per la formazione sociale dell’evoluzione del linguaggio. Tralasciando dunque i passaggi interiori che portano da un’astrazione inconsapevole a una consapevole e più specifica, propria delle terre più avanzate e degli ambienti più colti, ciò che merita particolare rilievo è il fatto che tale processo sia il risultato della facoltà riflessiva, su cui l’azione esplorativa è chiaramente chiamata a operare.
La capacità di astrazione costituisce il fulcro dell’azione umana, in quanto è una capacità intrinseca all’uomo, quindi educabile, e non una mera emanazione passiva della rivelazione divina. L’azione esplorativa si concentra sulla riflessione, che, secondo Olinto Dini, rappresenta la chiave per concentrare l’attenzione su varie percezioni, dalle quali sorgono le idee di relazioni che, alla fine, consentono una sintesi o un’analisi delle idee stesse.
L’azione esplorativa si concentra sulla riflessione, che, secondo Olinto Dini, permette di focalizzare l’attenzione su varie percezioni, dalle quali emergono le idee di relazioni che consentono, alla fine, la sintesi o l’analisi delle idee stesse. Come si evince da quanto affermato precedentemente, lo sviluppo della riflessione, e quindi il processo di astrazione necessario per la formulazione linguistica dei concetti, può essere affinato mediante la capacità di spostarsi agilmente tra il generale e il particolare. In questo contesto di interpretazione del ruolo e dello sviluppo della riflessione, emerge chiaramente il ruolo esplorativo svolto dall’ospizio.
Come scrive Olinto Dini, l’ospizio deve essere in grado di osservare con attenzione e, attraverso interrogazioni adeguate ed esperienze, scoprire le classificazioni che gli ospizi formano in ogni età, le idee relative a oggetti molteplici e i principi alla base di tali idee. Partendo da questi dati, già presenti nella mente del Lar, l’ospizio deve guidarli gradualmente dalle categorie più ampie che hanno in mente a quelle più specifiche, e viceversa. Deve aiutarli ad analizzare gli oggetti complessi che conoscono, scomponendoli nelle loro parti costituenti e successivamente ricomponendoli nella loro interezza. Infine, deve condurli dalle premesse (ma va notato che si tratta delle loro premesse personali e non di altre) alle conseguenze, e dalle conseguenze riportarli alle premesse.

, e questo assai piacevole e moderato, e

sì come non son nè anco per concludere verun’altra delle proposizioni controverse; ma solo ho auta imperocchè questo non ho io concluso, sì come non son nè anco per concludere verun’altra delle proposizioni controverse; ma solo ho auta intenzione di produrre, tanto per l’una quanto per l’altra parte, quelle ragioni e risposte, instanze e soluzioni, che ad altri sin qui sono sovvenute, con qualche altra ancora che a me, nel lungamente pensarvi, è cascata in mente, lasciando poi la decisione all’altrui giudizio. che ad altri sin qui sono sovvenute, con qualche altra ancora che a me, nel lungamente pensarvi, è cascata in mente, lasciando poi la decisione all’altrui giudizio.

. Dal movimento diurno nissuna mutazione nasce tra tutti i corpi celesti, ma tutte si referiscono alla Terra.Tutte coteste variazioni raccontate da voi non son nulla, se non in relazion alla Terra. E che ciò sia vero, rimovete con l’immaginazione la Terra: non resta più al mondo nè nascere nè tramontar di Sole o di Luna, nè orizonti nè meridiani, nè giorni nè notti, nè in somma per tal movimento nasce mai mutazione alcuna tra la Luna e ’l Sole o altre qualsivoglino stelle, sian fisse o erranti; ma tutte le mutazioni hanno relazione alla Terra; le quali tutte in somma non importano poi altro che ’l mostrare il Sole ora alla Cina, poi alla Persia, dopo all’Egitto, alla Grecia, alla Francia, alla Spagna, all’America etc., e far l’istesso della Luna e del resto de i corpi celesti, la qual fattura segue puntualmente nel modo medesimo se, senza imbrigar sì gran parte dell’universo, si faccia rigirare in se stesso il globo terrestre. Ma raddoppiamo la difficoltà con un’altra grandissima: Seconda confermazione che’l moto diurno sia della Terra.la quale è, che quando si attribuisca questo gran moto al cielo, bisogna di necessità farlo contrario a i moti particolari di tutti gli orbi de i pianeti, de i quali ciascheduno senza controversia ha il movimento suo proprio da occidente verso oriente, e questo assai piacevole e moderato, e convien poi fargli rapire in contrario, cioè da oriente in occidente, da questo rapidissimo moto diurno; dove che, facendosi muover la Terra in se stessa, si leva la contrarietà de’ moti, ed il solo movimento da occidente in oriente si accomoda a tutte le apparenze e sodisfà a tutte compiutamente.

Tra il monte Dych-Tau  e l’antico paese di Adishi che i mortali, falsidici, adùlteri, scelerati, pecatori et inimici de Dio, fingendo stranii et varii erorri. In modo che quelli che desideravano virtute o felicitate invocavano Iove adùltero, doctrina da Minerva et da Mercurio; done nel parto invocavano Lucina dea, ne la pregnatione dea Rumina, in la cuna dea Cunina,10 [E]dulica11 et Potina nel mangiare e ne lo bibere, dèi coniugali ne le noçe, dio Priapo nel consumare del matrimonio, Neptuno li navicanti, nimphe et limphe ne li fiumi, Marte et Belona ne le bataglie, ne lo mètere de le victovaglie Segiecia, per li bovi Bovona, per lo mele Melona,12 per li fructi Pomona; dea Honoria per essere honorati, dea Victoria per vincere, dea Pecunia per esserno pecuniosi, dio13 Esculano dio del rame et Argentino suo figliuolo perché avesseno rame et argento, Apollo et Esculapio medici invocavano l’infermi per avere sanitate, et multi altri dèi puerili che né14 io dico tutti, né loro potevano ad ogni minutia fare uno dio, a li quali adoravano et facievano loro altari et sacrificii.

si tratta cioè di mettere due o più grandezze in relazione proporzionale tra loro e non di determinare un’unità di misura che sia contenuta esattamente un certo numero di volte in ciò che si misura. Tale approccio non esclude affatto il calcolo matematico, anzi l’armonia si produce attraverso la determinazione di un rapporto numerico particolarmente felice. L’organismo più complesso di cui il mondo greco avesse conoscenza è il corpo umano. L’espressione “l’uomo è la misura di tutte le cose” vale in senso letterale: furono le parti del corpo umano a fornire le prime unità di misura come il piede, il palmo, ecc. Nell’arte greca la figura esiste come solido tridimensionale e le sue parti si esprimono attraverso frazioni di un’unità fondamentale. Fu compito degli artisti stabilire quali fossero i rapporti maggiormente armonici. Se il corpo umano rappresenta la proporzione naturale da esso si può pensare di ricavare un canone architettonico. Vitruvio rapporta il corpo umano ad circulum et quadratum, come modello di simmetria costruttiva. Secondo Vitruvio, il canone 2 perfetto è il rapporto 1:10, anche se una buona unità di proporzione è l’ottava. Secondo la consuetudine antica, la testa è modulo del corpo umano, per cui le varianti si riducono a tre: il numero di teste è 8 per un corpo virile, 9 per uno di medie proporzioni e 10 per uno più gentile. Nel Trattato sull’Architettura la colonna rappresenta bene il modulo costruttivo; le medesime varianti intercorrono tra i tre stili: dorico, ionico e corinzio. Tale rapporto proporzionale può riflettersi nel disegno di una lettera astata primaria come la I latina, che configura una colonna in miniatura. Alcuni secoli dopo, l’Umanesimo Rinascimentale riscoprì e rifondò il metodo di scrittura proporzionale

; ma che ciò non basta, imperciocché colui che non è persuaso non potersi dare a due esseri uno stesso nome, rifatta si sovente a cambiare, e di opotrei <larne le prove.

Non ostante la Commissione ha veduto abbastanza entro la città, per formarsi una idea ben favorevole sullo slato dell’industria di Lucca; ed essendosi poi convinta che desso è principalmente dovuto all’influenza delle eccellenti scuole tecniche, le ha stimate argomento assai importante da doverne formare soggetto di un rapporto separato, di cui vi farà lettura l’onorevole membro sig. avv. Maestri; mentre io anderò soltanto indicando quelli artigiani e manifattori che hanno priucipai in ente richiamata la nostra attenzione.

Alla regola io, e più specialmente al suo prologo, osservo che è da approvarsi in tutto, e principalmente da lodarsi il cortese consiglio di avvisare i dispensatori di nomi già preoccupati acciò li cambino essi stessi di perse; ma che ciò non basta, imperciocché colui che non è persuaso non potersi dare a due esseri uno stesso nome, rifatta si sovente a cambiare, e di opotrei <larne le prove.

Così il tiranno opprime i suoi sudditi, gli uni per mezzo degli altri, e viene difeso proprio da chi, se non fosse un buono a nulla, dovrebbe temere di essere attaccato; secondo il detto che per spaccare la legna ci vogliono dei cunei dello stesso legno. Ed ecco i suoi arcieri, le sue guardie, i suoi alabardieri; certo qualche volta anch’essi sono trattati male dal tiranno, ma questi miserabili abbandonati da Dio e dagli uomini sono contenti di sopportare dei danni pur di rifarsi non già su colui che ne è la causa ma su tutti quelli che come loro sopportano senza poter far nulla. Eppure vedendo questa gente che striscia ai piedi del despota per trarre profitto dalla sua tirannia e dalla servitù del popolo, spesso mi stupisce la loro malvagità, altre volte invece è la loro stupidità che mi fa pena. Perché, diciamo la verità, che altro può significare avvicinarsi al tiranno se non allontanarsi dalla propria libertà e abbracciare anzi, per meglio dire, tenersi stretta la servitù?